Benessere psicofisico mentre si curano altre persone

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Il tuo benessere può risentire di un accumulo di stress per una delle seguenti condizioni:

  • Gravidanza o maternità

Ci sono molti momenti in cui la futura mamma può sentirsi stressata. I primi tre mesi sono un periodo critico. Dopo aver saputo di aspettare un bambino, può subentrare l'ansia. Questi mesi sono molto faticosi fisicamente. Inoltre, spesso la mamma viene assalita dai dubbi. Questi dubbi possono riguardare sia la sua salute che quella del bimbo, oppure le sue capacità di madre, o ancora la vita che l'aspetta in futuro.

Dal quarto mese in poi, la mamma inizia ad avvertire i movimenti del feto. Anche questo momento è molto emozionante. La mamma inizia a immaginarsi come sarà il suo bambino e inizia a conoscerlo. Ma probabilmente si chiede anche se tutto procede nella norma e se il bambino sarà normale. Poi la pancia comincia ad essere evidente. Questa è una cosa che spesso rende orgogliosa la mamma ma si associa a modificazioni corporee che non sempre sono facilmente accettabili. Con l'avvicinarsi del parto, anche lo stress aumenta. La paura del dolore e del non essere all'altezza della situazione è assolutamente normale. E poi c'è l'ansia di non sapere con certezza cosa accadrà dopo il parto, cioè come sarà la nuova vita con il bambino. Il feto e' in grado di sentire lo stress materno gia' dalla 17esima settimana di gestazione.  E’ pertanto importante riconoscere quando, durante la maternità, i segnali di stress sono elevati; rivolgersi ad uno psicologo, ad esempio per imparare tecniche di rilassamento, può essere di aiuto sia alla madre che al feto. 

Una volta nato il bambino, il tono di umore della madre può risentire della nuova responsabilità di cui è investita, e delle incessanti richieste di dipendenza del piccolo. Il rapporto madre-figlio è fondamentale per la crescita del bambino fin dai primi momenti in cui vi è uno scambio di sguardi, l’allattamento, le prime forme di accudimento. E’ pertanto importante, ancora una volta, che la madre sappia riconoscere i propri segnali emotivi per poterne eventualmente parlare con uno psicologo al fine di trovare un modo per lei equilibrato di assumersi il proprio nuovo ruolo.

 

  • Difficoltà scolastiche dei figli

Il passaggio dalle materne alle elementari, dalle elementari alle medie, la scelta delle scuole superiori, l’ingresso in un nuovo gruppo di riferimento e in un nuovo ambiente sono le difficoltà che ogni bambino/ragazzo affronta nella propria storia scolastica. Di fronte a tali difficoltà spesso il genitore sente il peso della responsabilità di aiuto nei confronti del proprio figlio / figlia; aiuto a scegliere, aiuto a inserirsi, abilità di riconoscere il disagio effettivo del ragazzo da una situazione normale e connessa alla crescita. Difficoltà nell’apprendimento o carenze anche improvvise di interesse per il percorso scolastico possono costituirsi come momenti di crisi non solo per il ragazzo ma anche per i genitori, che vorrebbero la sua realizzazione. Tutto questo può portare ad un accumulo di stress e l’aiuto dello psicologo può essere prezioso nel trovare la giusta strada per superare l’impasse.

 

  • Occuparsi continuativamente di un familiare malato (sindrome da stress del caregiver)

Prendersi cura di un proprio familiare affetto da una malattia invalidante è sicuramente una situazione di elevato stress per il caregiver che richiede l’assunzione di un ruolo nuovo, la ridefinizione di confini e di abitudini di vita, il confronto con emozioni forti e contrastanti. In letteratura è usato il termine inglese “burden” per indicare il sovraccarico emotivo e fisico esperito dal caregiver; il burden può essere concepito come la risultante di un equilibrio  tra la richiesta di impegno, sociale affettivo e assistenziale, fatta al caregiver, che può provenire non soltanto dal malato ma anche dagli altri membri familiari, dalla società, dall’ambiente lavorativo, ecc., e le risorse messe in atto dall’individuo. Considerando a titolo esemplificativo i caregiver di pazienti con esiti di ictus, diversi studi hanno valutato le caratteristiche del sovraccarico psicofisico esperito da tali familiari in termini di elevata ansia, percezione di stress e di solitudine, riduzione della attività sociali e in generale di qualità di vita. Si è osservato elevato rischio di depressione in chi presta assistenza al paziente con ictus, sia in fase acuta che dopo la stabilizzazione del deficit funzionale, soprattutto nei casi in cui emergono deficit cognitivi o del linguaggio. La depressione del caregiver può a sua volta determinare risvolti negativi sull’inserimento sociale del paziente incrementandone la percezione di handicap e peggiorare la depressione del paziente colpito da ictus, ove presente, oltre che predire minor risultati in riabilitazione. Di contro il contributo operativo e la stabilità emotiva del caregiver possono avere ripercussioni favorevoli sul recupero del paziente. 

Lo psicologo può aiutare il caregiver a riprendere i propri spazi e la cura di sé, per poter mantenere il proprio benessere nonostante la funzione di assistenza che sta svolgendo. Lo psicologo può inoltre aiutare anche ad esprimere o elaborare emozioni magari conflittuali che possono ostacolare la cura.

 
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